Nel 2016 volevo raccontare a fumetti una storia di formazione. Per farlo, e anche per scrivere una tesi a tema per l’università, ho studiato molte storie. Una di quelle che mi ha colpito di più è stata La grande foresta, di William Faulkner.
Questa storia rappresenta un passaggio all’età adulta quasi archetipico, mitico. Faulkner mi aveva attirato perchè vicino a quel panorama letterario che viene chiamato “southern gothic”, il gotico del sud degli stati uniti. La grande foresta è stampato in un volume di racconti di Faulkner edito da Adelphi
Di cosa parla La grande foresta
Le storie di caccia che animano La grande foresta compongono, come i capitoli di un romanzo, un’unica, grande storia: quella della conquista di una maturità che per il giovane Ike McCaslin si compie quando uccide la prima preda – o forse nell’istante in cui la preda lo riconosce abbastanza uomo e accetta di farsi uccidere da lui… (Dal sito dell’editore)
La Foresta
Lo scenario in cui questa storia di formazione si svolge è la foresta.
La sua potente e minacciosa carica vitale, il suo stesso esistere dà un senso di forza e pericolo. Si è sempre estranei in questo scenario, una sorta di enorme organismo autonomo e letale che fa l’uomo piccolo.
La foresta è qui come un santuario naturale immune alla scansione del tempo storico in cui l’individuo impara a partecipare al rito ancestrale della caccia – rito che ne sviluppa e ne consacra il senso di sé in rapporto alla natura e al gruppo degli uomini.
Non è una natura qualsiasi, bensì una natura forte, fuori dal controllo umano, dove bisogna lottare per sopravvivere.
Questo è più evidente nei personaggi di Boon e Sam Fathers che hanno parentele coi nativi, e quindi radici culturali diverse.
La vicinanza alla foresta è vissuta attraverso una categoria di limite.
Infatti la caccia è ritualizzata e non libera, si caccia quanto si mangia e solo in precisi momenti dell’anno.
Quindi il rapporto con la natura mette l’uomo al suo posto.
Nell’epilogo del racconto l’ancestrale rispetto della foresta viene meno, i nipoti di Ike (il giovane protagonista che vive la sua storia di formazione in queste pagine) cacceranno per il loro divertimento e la foresta verrà abbattuta per fare spazio alle città.
Il battesimo della foresta
La storia di formazione del giovane Ike McCaslin necessita di alcuni passaggi.
Il riconoscimento da parte della foresta, cioè il contesto che Ike abita.
La foresta è rappresentata simbolicamente dal vecchio Ben, un orso enorme e invincibile, diventato negli anni oltre che una sfida per i cacciatori, un buon nemico, una specie di autorità a cui dover render conto delle proprie azioni, cacciato più per rispetto di un rituale, che per reale possibilità di successo.
Proprio da lui Ike deve essere riconosciuto, è da lui che riceverà il diritto alla caccia e all’età adulta.
Per farlo Ike si deve presentare alla foresta, alla pari con ogni altro essere vivente che la abita, spogliandosi quindi del fucile, della bussola, dell’orologio, cioè di tutti gli artefatti umani, e così privato da tutti i vantaggi della civiltà vagare tra gli alberi nella notte.
Solo allora il vecchio Ben si fa vedere da lui, si presenta e lo riconosce.
Il battesimo degli uomini
Altra iniziazione è quella del suo gruppo di cacciatori.
Viene accompagnato a caccia da Sam Fathers, in parte nero e in parte Chikasaw, legato dal suo sangue a una parentela più stretta con la foresta.
Infatti è lui che guida il passaggio di Ike, nella caccia alla sua prima preda che lo consacra come uomo e cacciatore.
Attraverso il riconoscimento degli altri uomini e della foresta Ike si guadagna un identità, diventa un uomo adulto.
Tutti i passaggi compiuti da Ike sono riscontrabili in molti riti svolti da varie tribù primitive.
In primis l’allontanamento dal mondo delle donne e dei bambini. Infatti Ike durante il periodo della caccia è distante dalla famiglia e vive col il gruppo di cacciatori, tutti uomini, che qui compongono una società particolare.
Il momento di solitudine nella foresta, è il suo battesimo e lo rende parte di quel mondo, a cui si presenta spogliato dagli oggetti della civiltà umana.
Era infatti tipico di diverse società primitive che i bambini durante i riti di adolescenza o pubertà venissero lasciati soli a vagare per una foresta dove dovevano cavarsela senza aiuti, a simboleggiare un passaggio che una volta compiuto non permetteva più di tornare indietro.
Infine diventa un membro attivo della sua società particolare dei cacciatori uccidendo la sua prima preda.
Lo schema dell’antropologia
Questo schema corrisponde a quello descritto da Arnold Van Gennep (antropologo francese, noto in particolare per i suoi studi sui riti di passaggio) in Riti di passaggio:
Quindi il periodo di caccia lontano dalla famiglia costituisce il rito preliminare, il momento di solitudine nella foresta è un rito liminare, mentre l’uccisione della prima preda è un rito postliminare.
La grande foresta racconta un passaggio all’età adulta compiuto.
Una storia di formazione secondo me
Quando, nel 2016, studiavo questa storia ero molto affascinato dalla facilità con cui questo passaggio potesse avvenire, e frustrato dal non riuscire a dare una stessa potenza e semplicità alle mie storie, che sono però ambientate nel mondo contemporaneo. Il problema è annoso ed è quello che vede la nostra società come poco propensa ai passaggi della vita, al riconoscerli e all’accompagnarli. I miei studi si sono poi riversati in Non ci tocchiamo mai veramente, il mio racconto lungo pubblicato per Brace.
La mia storia vede infatti due giovani molto distanti dal trovare una maturità. I due, anzi, non sono una parte attiva della società, e inoltre risultano più emarginati che partecipi. Quella che ho inconsciamente realizzato è una sorta di storia di non formazione, che mi pare essere molto tipica del tempo in cui viviamo.
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